Rita Pelusio

Rita Pelusio

Rita Pelusio

Rita Pelusio ha tanto teatro in curriculum: innanzitutto tanto studio (in clowneria e mimo presso la scuola di Jean Mening e sull’attore comico alla scuola Atelier Teatro Fisico di Philip Radice aTorino), poi tante esperienze in palcoscenico e in tv (dalla Compagnia degli Gnorri con Natalino Balasso alle apparizioni a Markette e Colorado Café) e soprattutto diversi premi importanti, tra cui spicca il premio Massimo Troisi come migliore attrice comica. Il suo sodalizio con “Ferite a morte” si è rafforzato durante le tante tappe trascorse e ora diventa, con la nuova tournée nazionale, un calendario serratissimo che ci porterà fino agli sgoccioli di questo 2013.

Nella loro estrema drammaticità, le storie di “Ferite a morte” non rinunciano ad un tono a tratti leggero, perfino ironico. Nella sua carriera la comicità è protagonista: qual è il valore aggiunto di questo linguaggio nel raccontare il fenomeno del femminicidio? 
«Alcuni  spoon scritti da Serena hanno già di per sé un tratto più leggero ma non nel contenuto, bensì nel carattere del “personaggio” che racconta. Per esempio mi ritrovo spesso a leggere lo spoon  “Il senso dell’onore”  dove do voce al personaggio di Carmela Rositano in Mantade: lei parla del delitto d’onore che è stato eliminato solo pochi anni fa in Italia. Nonostante sia un argomento toccante che fa arrabbiare e rimanere indignate, Carmela non perde la sua ironia, accoglie tutte le donne vittime di questo orrore e le fa accomodare in questo limbo/ paradiso. Qui non si parla di comicità ma semplicemente di creare un’affezione delicata tra lo spoon e chi lo ascolta. Prima di entrare in scena immagino Carmela: sorridente minuta con labbra sottili e occhi vispi, tiro il fiato e inizio a leggere. Se il pubblico sorride..sono felice, e sono certa che anche Carmela, ovunque essa sia …lo sarà».

Quanto spesso, nella sua carriera e nella vita quotidiana, si è sentita ostacolata o vessata dal mondo maschile? 
«Spesso, soprattutto nel mondo televisivo. Purtroppo c’è ancora questa stupidissima convinzione che la comicità sia maschile, e per noi attrici comiche è molto più difficile, perché i parametri con i quali vieni giudicata sono maschili e quindi il rischio è quello adeguarti a quella forma di comicità. Sarebbe bello se fosse data la possibilità  di lavorare a molte più autrici, redattrici, “cape” progetto, sicuramente i programmi sarebbero diversi, magari più rispettosi nei confronti della donna. Non dimenticherò mai il mio primo approccio con il mondo televisivo, in un pezzo usavo il termine ” ovulazione” il capo progetto mi disse di toglierlo perché lo infastidiva, intanto guardava ammirato il regista che inquadrava sotto la gonna, il sedere di una ballerina, gli dissi che per me questo era volgare e offensivo e che questo mi infastidiva. Dovetti rifare il pezzo e la ballerina continuò a sculettare, a favore di telecamera».
“Ferite a morte” chiede a tutte e a tutti di aprire gli occhi e di cambiare: un traguardo irraggiungibile?
«No, non è irraggiungibile! Nel pubblico di “Ferite a morte” ci sono molti uomini che come noi sognano un futuro diverso. Sono madre di un bimbo di otto anni e penso che si debba  iniziare dai bambini, dall’educazione al rispetto, penso che si debbano considerare le differenze che ci sono fra i due sessi come opportunità per essere complementari, penso che proprio dall’infanzia si debba partire per costruire un futuro NON VIOLENTO».

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